• Vedo Cose - Mi faccio di Gente

    “A me piaceva la mafia di una volta”: Belluscone, una storia siciliana.

    Io penso che a un certo punto, in quest’Italia che ha svoltato non interessa più nulla a nessuno di tutte le vecchie storie[…].

    Questa nuova Italia più bella, più sicura, più abile va oltre questi fantasmi, questi freaks che di notte tengono compagnia soltanto a te e senza i quali tu ti senti perduto.

    Ed è per questo, io credo, che tu non finisci i tuoi film…per non restare solo.

    (Tatti Sanguineti).

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    Ci sono le luminarie, le facce, i mostri, Dell’Utri su un trono. C’è tutto, insomma.

    Belluscone, putroppo o per fortuna, non è un film su Berlusconi. Berlusconi c’è, ma è una presenza melliflua, impalpabile, con filmati di repertorio che scandiscono i decenni, da Milano 2 alla nascita della televisione commerciale, alla “discesa in campo più famosa d’Italia”. Come uno spirito serpeggia nelle interviste tra gli spettatori delle feste di piazza nel quartiere Brancaccio di Palermo, il quartiere siciliano berlusconiano per eccellenza e spiacevolmente famoso anche per questioni legate a Cosa Nostra.

    E sul legame a doppio filo tra queste due peculiarità del quartiere Maresco gioca la sua narrazione, chiedendosi se, “come dicono i maligni” le due cose siano collegate.

    Ma questo è solo l’involucro che avvolge qualcosa di assai diverso.  Il film si spinge nei vicoli e in quel sottobosco urbano pieno di personaggi terribili e meravigliosi allo stesso tempo, che tanto abbiamo amato ai tempi di CinicoTV e de “I migliori nani della nostra vita”. Quei personaggi al limite del paradossale e del surreale, che però sappiamo essere in qualche modo veri, più veri del reale.

    Facciamo la conoscenza di Ciccio Mira, ex-barbiere, ex-cantante, impresario di cantanti neomelodici invischiato e ammanicato (dicono i maligni) con ambienti della malavita organizzata e di due cantanti neomelodici di cui è agente, Erik, smilzo, scontroso e berlusconiano fino al midollo e Vittorio Ricciardi, ercolanese trapiantato a Palermo, solare, con tatuaggi e pacco in bella mostra, idolo delle ragazzine dei quartieri popolari.

    Vittorio Ricciardi, secondo voi c'è bisogno di un'ulteriore descrizione?
    Solange con tatuaggi Vittorio Ricciardi, secondo voi c’è bisogno di un’ulteriore descrizione?

    Dopo i primi 10 minuti il film si trasforma da ciò che poteva sembrare un documentario in qualcosa completamente diverso.

  • Deontologia della barbarie

    Pralinato alle nocciole

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    Guardatelo con attenzione, sarà l’ultima volta che lo troverete invitante.

    Non ho mai avuto problemi nel cacare. Le pareti del mio sfintere, sempre ben lubrificate, sarebbero l’invidia di qualsiasi attore porno gay passivo.

    (e non di rado ho riflettuto riguardo il tentare quella strada, in fondo, prenderlo in culo per sbarcare il lunario non è quello che definiremmo “essere un membro produttivo della società”?).

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    e senza ombra di dubbio questo sarebbe il mio nome d’arte.

    Negli ultimi tempi, invece, mio malgrado, ho imparato cosa sia la stitichezza.

    Cazzarola.

    Scoprire a quasi 30 anni cosa voglia dire dover spingere un siluro marrone duro e spigoloso come un ramo di palissandro attraverso quel dannato buchino che, per l’occasione è secco e rattrappito, è davvero un’esperienza traumatica,

    quasi quanto scoprire che la tua ragazza crede nelle proprietà dell’acqua diamante.

    oppure, mentre lei è in bagno, dare un’occhiata a una scatola un po’ nascosta, nella speranza di trovarci creme fungicide e lubrificanti non vegetali,

  • Esizialesimo

    Konichiwa

    Sapori industriali per malesseri umani.
    Sapori industriali per malesseri umani.

    Il tanfo di ammoniaca del pavimento appena lavato mi ricordava l’odore di piscio di certi vicoli d’estate, la puzza di sigarette gli anni ’90, quando in quei posti ci si poteva ancora fumare.

    Questo bar è rimasto uguale. Uno specchio della Peroni, di quelli da boom economico, sorge e si impone alle spalle del barista, confondendo la prospettiva e la profondità quel tanto che basta a scongiurarmi un attacco d’ansia:

    di solito questi buchi, affollati di vecchi che fumano e giocano a tressette, distogliendo l’attenzione unicamente per palpare il culo alle cameriere moldave, hanno questo spiacevole effetto collaterale su di me…sarà l’assenza di spazio, l’assenza di ossigeno, l’assenza di speranza.

    Vengo qui perché in fondo torturarmi mi piace, di domenica: coltivare la propria angoscia come una delicata orchidea, innaffiarla di pessima birra, accudirla al sole dell’assenza di prospettive.

    Senza velleità artistiche, dio o chi per lui ce ne scampi. Puro masochismo, pestato a morte dalla noia, incapace di reagire. Tutto si modella al vuoto della propria anima. Ho chiamato Rigurgito e gli ho chiesto di vederci qui. Nella gola muchi acri e catramosi. Nello stomaco puro fuoco. Cherosene. Un callo purulento sul polso. Lei se n’è andata, o meglio, alla fine, ha trovato il coraggio di ammettere che, per quel che le riguardava, era tutto finito.

    Guardo il barista, mi stappa una Peroni senza nemmeno chiedere. Significa che vengo qui troppo spesso. Primo sorso e conseguenti brividi lungo la schiena. Mi guardo intorno. Incrocio lo sguardo con la moldava, mi sorride. E’ nuova. Chissà l’altra dov’è finita. Sollevo il bicchiere per brindare alla sua salute, con una smorfia che potrebbe rappresentare alla buona un sorriso. Non le piace. Distoglie lo sguardo. Abbasso gli occhi e sghignazzo.

    Lei mi ha lasciato perché aveva bisogno di spazio. Spero ne trovi a sufficienza.

    Qui dentro non ce n’è.

    Guardo fuori dalla finestra, il buio del deserto domenicale.

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    “Uscir nella brughiera la mattina dove non si vede a un passo, e jastemare la maronna”.

    Un solo lampione, tre metri d’asfalto e subito dopo aperta campagna che si perde nell’oscurità.

    Tanto spazio, peccato non si veda cosa ci sia dentro.

    Un po’ come dentro di me, penso.

    E penso anche che, se avessi quindici anni, questa cazzata me la scriverei sul diario, o sul mio blog di splinder e, probabilmente, mi farebbe vedere più fica fessa di un bidet.

    Un colpo di tosse che vorrebbe essere una risata.

    Stronzate.

  • Deontologia della barbarie

    TRE semplici regole di comportamento urbano che solo un VERO NAPOLETANO® conosce e rispetta.

    Una Napoli senza mare non s'è mai vista. Ma è bella uguale.
    Una Napoli senza mare non s’è mai vista. Ma è bella uguale.

    1. Nelle principali arterie pedonali assicuratevi di camminare il più lentamente possibile e in maniera tale da occupare più spazio perpendicolarmente alla vostra direzione.

    Durante la tua passeggiata su Corso Umberto o su Via Roma, è importante rallentare il proprio passo il più possibile, perché c’è la possibilità di venire fermati da un simpatico venditore di calzini, accendini, mendicante semplice, associazioni no-profit, associazioni per la donazione del sangue, e sarebbe estremamente scortese non ascoltare ciò che hanno da dire queste persone e beneficiare delle loro inimitabili e sempre nuove battute (anche a rate, capo!). Inoltre se camminate troppo veloci potreste perdere l’occasione di vedere nella vetrina di un negozio quella maglietta “Stasera faccio la brava” o quel pantalone ultra-stretch che vi renderà unici e inimitabili (80’000 esemplari venduti solo nel centro storico). Non dimenticate di occupare il più possibile il marciapiede in maniera orizzontale, però, perché vi sta a cuore anche la salute di chi va di fretta e cerca di sorpassarvi: per l’eccessiva velocità potrebbe procurarsi uno strappo muscolare, o peggio! Un’ultima raccomandazione, fermatevi all’improvviso davanti a una vetrina, farvi sbattere addosso da degli sconosciuti è un ottimo modo per fare nuove conoscenze!

    Mi raccomando, PIANO.
    Mi raccomando, PIANO.

    2. Se per qualche motivo dovete fermarvi a fare qualcosa, assicuratevi di fermarvi nelle strettoie o in cima alle scale.