Pralinato alle nocciole
Non ho mai avuto problemi nel cacare. Le pareti del mio sfintere, sempre ben lubrificate, sarebbero l’invidia di qualsiasi attore porno gay passivo.
(e non di rado ho riflettuto riguardo il tentare quella strada, in fondo, prenderlo in culo per sbarcare il lunario non è quello che definiremmo “essere un membro produttivo della società”?).
Negli ultimi tempi, invece, mio malgrado, ho imparato cosa sia la stitichezza.
Cazzarola.
Scoprire a quasi 30 anni cosa voglia dire dover spingere un siluro marrone duro e spigoloso come un ramo di palissandro attraverso quel dannato buchino che, per l’occasione è secco e rattrappito, è davvero un’esperienza traumatica,
quasi quanto scoprire che la tua ragazza crede nelle proprietà dell’acqua diamante.
oppure, mentre lei è in bagno, dare un’occhiata a una scatola un po’ nascosta, nella speranza di trovarci creme fungicide e lubrificanti non vegetali,
trovarci invece la collezione completa dei dvd di Beppe Grillo (storia vera, e, signora mia, vedesse come si vergognava la schifosa pervertita).
Insomma, dolore, ansia. Tutti i muscoli del corpo che si contraggono per fare uscire quel dirigibile marrone pralinato alle nocciole,
che urtica e fa sanguinare le pareti del mio retto. Il sangue che si mischia alle “pellecchie” di pomodorino non digerite, in una sinergia che ricorda vagamente le fantasie di sciroppo all’amarena sui gelati alla vaniglia, ma il bianco sdolcinato della vaniglia non c’è.
C’è solo merda. Merda e sangue. Le uniche due cose che contano nella vita.
Perché in fin dei conti è dal sangue che si nasce.
E’ nel sangue che si cresce.
E nella merda, invariabilmente, prima o poi, ci si finisce.
Il siluro è uscito, per fortuna. Avevo paura mi venisse un’ernia. Lo osservo nella tazza mentre mi tampono il sangue che scorre dal buco del culo con della carta a tre veli.
Sembrava più grande. Dannate aspettative pompate da Hollywood.
Certo, è duro come la roccia, sarà un guaio farlo scendere per lo scarico.
Mi toccherà prendere lo scopettino del cesso e ingaggiare questo combattimento post-moderno contro me stesso.
Contro la parte di me fuori di me.
Contro lo stronzo, tutt’altro che metaletterario, che abitava il mio corpo.
Uno stronzo con una corazza di nocciole. Una sfida all’ultimo sangue, che nel frattempo sembra essersi coagulato. Fendente dopo fendente ne uscirò vincitore, lo so. Almeno fin quando un nuovo stronzo non nascerà dentro di me.
Questo, amici miei, è spettacolo!