Esizialesimo,  Vedo Cose - Mi faccio di Gente

Welcome.

Anni fa, tornando da una di quelle serate esiziali in cui non avevo bevuto abbastanza birra per potermi spegnere nel letto, ma comunque troppa da permettermi il lusso di lasciare il cervello acceso e libero di soffermarsi sempre sulle solite fratture, cercai distrazione e rimbambimento nel tubo catodico.

Non lo faccio spesso, ma guardare la tv di notte, in stati vagamente alterati di coscienza, è un gesto di cui ho mantenuto viva la tradizione con una certa costanza.

Di giorno servirebbero gli antidolorifici.

Fosse stato ancora il 2000, prima del digitale terrestre, mi sarei probabilmente fermato su un canale regionale (“Tele Akery”, già “Tele Acerra”, sempre nel cuore!), avrei trovato Maya Gold, direttamente dalle scuderie del Diva Futura Channel del compianto Schicchi, e la mia nottata sarebbe finita con un rinfrescante bidet col chilly mentolato.

(A dirla tutta, era più la trasgressione di guardare un live show per adulti che altro, perché a parte qualche capezzolo, fondo schiena e sguardi ammiccanti, non c’era niente che oggi non si trovi in tutte le fasce orarie, pure al supermercato. Per fortuna.)

maya gold
Ho cercato una foto di Maya Gold su google immagini e, quando il mio occhio lì in mezzo ci ha visto pure Madre Teresa, sono caduto in un buco nero urlando: «Ma Perchééé???»

Invece trovai un film.

Ne ho visti parecchi in situazioni del genere, sia classici che pellicole meno conosciute. Ogni volta mi sono chiesto che li comprino a fare i diritti se devono trasmetterli alle tre di notte, mentre durante il giorno son tutte vite in diretta, genti che cucinano e carlocontame vario, tra quiz, spettacoli, concerti e cuolli di cazzo per la beneficenza al 4888.

Solo per citare qualche felice scoperta:

  • The Jacket, thriller psicologico con una Keira Knightley non ancora secca come a ‘na ietteca.
  • Waking Life, un trip assurdo in rotoscope. Eccone un pezzo:

     

  • Il velo dipinto, film drammatico sul rapporto di coppia, incorniciato in una Shangai anni venti straziata dal colera, con Naomi Watts ed Edward Norton.
  • Gridlock’d, commedia drammatica, con Tim Roth e la buonanima di Tupac, che tocca ironicamente temi pesanti (tossicodipendenza, razzismo, aids, burocrazia e incongruenze del sistema sanitario statunitense).
  • L’adattamento per tv di Cuore di Tenebra di Conrad, con Tim Roth e John Malkovich. Deludente in verità, ma Malkovich come Kurtz merita:
    «Ti avverto, se continuerai a guardare il mondo attraverso le opinioni degli altri, tutto quello che troverai dentro di te saranno solo le opinioni degli altri. Pensa con le tue viscere oltre che con il tuo cervello.»
  • Snack Bar Budapest, stranissimo dramma noir di Tinto Brass, con Giancarlo Giannini, Carlo Monni e un giovane Giorgio Tirabassi, nel ruolo di “Er Papera”.

* * *

Il film che beccai quella volta fu Welcome.

Racconta la storia di Simon, allenatore di nuoto ex-oro olimpionico, caduto in depressione a causa del divorzio dalla moglie, e di Bilal, curdo-iracheno diciassettenne, arrivato clandestinamente a Calais, in Francia, con il sogno di raggiungere la fidanzata in Gran Bretagna, dove è emigrata con la sua famiglia. Scoperto dalla polizia al confine e rimandato indietro, si iscrive in piscina, dove chiede a Simon di dargli lezioni.

Il ragazzo vuole attraversare la Manica a nuoto.

Inizialmente Simon è molto freddo, poi si rende conto delle reali intenzioni del ragazzo e cerca, prima di scoraggiarlo e poi, un po’ per inerzia, un po’ egoisticamente per cercare di riconquistare – pateticamente – l’ex-moglie (impegnata nel volontariato), finisce per ospitarlo, continuando a dargli lezioni. Questo gli causa problemi, perché le leggi per chi aiuta i clandestini, anche il solo fornire loro pasti, sono molto severe in Francia (la vorreste pure voi una legge così amici di Matteo, eh? Lo so che avete avuto n’erezione pensandoci, anche se siete femmine!) e viene prima convocato e poi perquisito dalla polizia, a causa della segnalazione di un suo condomino.

Il titolo del film prende il nome proprio da una scena nella quale, dopo la perquisizione, Simon guarda lo zerbino con scritto “Welcome” davanti al portone del condomino che l’ha segnalato.

Simon continua ad allenarlo, nel contempo cerca di persuaderlo a rinunciare, ma Bilal, dopo una telefonata della ragazza che gli comunica l’intenzione del padre di farla sposare con un cugino, proprietario di un ristorante, tenta la traversata, venendo ripescato da un peschereccio e messo in un centro di permanenza. Nel frattempo la polizia apre ufficialmente un’indagine su Simon, con l’accusa di traffico di clandestini e lo dichiara in stato di libertà vigilata con obbligo giornaliero di firma. Pochi giorni dopo la fidanzata di Bilal contatta Simon, implorandolo, in lacrime, di convincerlo a restare in Francia, poiché ormai la data per il matrimonio è fissata.

Nonostante il messaggio, Bilal, appena uscito dal centro, ci riprova e affoga, a meno di 1 km dalle coste inglesi, nel tentativo di nascondersi dalla guardia costiera britannica che l’aveva avvistato.

* * *

Un po’ trito e scontato vero? Sicuramente.
Non è un capolavoro, è un film da non più di 7, ma al di là del valore artistico, rende bene diverse situazioni reali.

Degna di nota è la scena con lo zerbino, che è si banale, ma nella sua semplicità e scontatezza, comunica fin troppo bene il messaggio che, a furia di pulircisi ipocritamente le scarpe sopra, finiamo per svilire interi concetti.

Altra caratteristica peculiare è l’inerzia che pervade tutto il film.
Qualsiasi scelta dei personaggi sembra obbligata, indirettamente o direttamente da una forza di gravità che è difficile non assecondare. Bilal non sembra avere alternative. Simon, non è mosso da pura bontà, piuttosto si lascia “muovere” dalla situazione passivamente e “cede” all’agire, senza reale convinzione, ma solo perché messo moralmente alle strette dall’alternativa di abbandonare il ragazzo a se stesso.

 «Facile così! Troppo comodo parlare di un film del genere sfruttando l’onda emotiva dei fatti di cronaca!»

Vero.
Abbiamo l’imbarazzo della scelta.

C’è la finale di pallavolo Italia-Francia sugli scogli di Ventimiglia.
C’è la Gran Bretagna che, capisce che è un problema europeo, ma le quote di ridistribuzione non le vuole.
C’è chi si fa dodicimila kilometri nel vano carrello di un aereo, in condizioni estreme di temperatura e pressione, sul volo Johannesburg-Heathrow.
C’è chi, soffrendo di mal di mare e mal d’aria, prova via terra, facendosi migliaia di kilometri attraversando Turchia, Grecia, Serbia e Ungheria.
C’è appunto l’Ungheria, che comunica di voler costruire 175 km di muro sul confine con la Serbia, chiaro,  non è il primo muro del genere, ne esistono già tanti, ma anche questa volta mi ero illuso che il precedente fosse stato anche l’ultimo.

C’è n’è da riempire pagine di approfondimento e analisi retrospettive per mesi.

Considerando che molti di noi non ne tengono in cuorpo nemmeno di farsi mezz’ora a piedi, dovrebbe essere pensiero condiviso che queste persone meritino almeno di non essere insultate, poiché se rischiano così tanto, è perché fuggono da un incubo, non certo perché hanno il desiderio di andare a scattarsi un selfie ad Hyde Park o di farsi una passeggiata ossigenante immersi nella natura dei Balcani.

Invece, facendolo notare, per alcuni sei un “buonista di sinistra”, etichetta che non gradisco, perché non è che si sposi perfettamente con le mie idee, però pazienza, se l’alternativa è essere “stronzo”, mi mordo un labbro e me la tengo.

A teatro sarebbero perfetti, meglio di un Capitan Matamoros, un Brighella o un Arlecchino e mi vedrebbero spesso in prima fila.

Scesi dal palcoscenico però,
questi ispettori della Polfer nostalgici di periodi storici che non hanno mai vissuto,
questi capipopolo feticisti delle ruspe che aizzano altri cani all’odio,
quotidianamente, partoriscono stupidaggini e orrori così grossi e duri, che gli andrebbe fatta l’epidurale immediatamente, per compassione.

Su una cosa però questi stronzi mannari hanno ragione:

Troppo spesso si sfruttano questi argomenti per fare numeri, tramutando dibattiti in polpettoni di emotività, pietosi moralismi e banalità così elegiache e cattedratiche che, a confronto, le parole del papa potrebbero sembrare quelle di un Che Guevara sotto epinefrina.

Pochi analizzano il fenomeno di questi flussi migratori, facendocene capire, a martellate se necessario, le motivazioni storiche, tanti fanno dietrologia sui singoli eventi. Perché la Storia è fatta di date e singoli eventi, mica di processi che durano anni, vero?

Pochi ci spiegano perché è necessaria la civiltà, tanti ci dicono che “è una cosa buona perché è bene”, come fossimo a messa ad ascoltare uno di quei passi letti in maniera inespressiva da una bambina che pronuncia solo il suono delle lettere che vede, ma che ci innescano lo stesso per riflesso pavloviano un “Preghiamo”, anche agli atei.

Sarebbe il caso di non usare più “umanità” nell’accezione di “sentimento etico di rispetto della specie umana”  e preferire “Complesso di sentimenti che si ritengono propri dell’uomo”.

Tipo l’ipocrisia.

Facessero speciali di TV7, di Medicina33 o articoli  di blasonati giornali sull’ipocrisia, sarebbero più utili.

«Storia dell’ipocrisia umana»

«Ipocrisia: Come riconoscerla e gestirla»
«INCREDIBILE! Guarda cosa succede a questa ragazza in bagno mentre fa l’ipocrita! -> Guarda il Video <-»
«10 motivi per cui l’ipocrisia fa schifo»
«Ipotesi di Complotto: Quello che non vogliono farci sapere sull’ipocrisia!»

 * * *

Quando gli eventi ci catapultano, anche prepotentemente, nella condizione di dover scegliere se tendere una mano o ignorare, indipendentemente dalla scelta, ci sarà un costo.

La solidarietà si paga in termini di ordine pubblico, di attriti sociali e soprattutto economici, perché, purtroppo, tetti, cibo e beni di sostentamento non si pagano in visibilità, c’è bisogno di vile denaro. Dove c’è denaro, è UMANO che arrivino i disonesti ed è con loro che si dovrebbe fare la voce grossa, invece di chieder favori e briciole.

L’indifferenza invece si paga sul lungo periodo. Ogni volta che si ignora una persona in difficoltà, crolla un po’ di società civile e, pezzo dopo pezzo, si arriva a rescindere il patto sociale. Senza scomodare Hobbes, quando questo accade, è UMANO che io, alle strette, pensi solo a chi mi è vicino. È ininfluente che si frapponga tra me e il mio pasto Venanzio di Treviso, Nunzio di Bitonto o Jibran di Al-Raqqa: Sono tre sconosciuti che preferisco morti o lontani da me e il fatto che i primi due abbiano scritto “Italia” su un pezzo di carta che non significa più niente, è solo insipido condimento.

Se gli italiani si dimostrano stronzi, “Prima gli italiani” diventa immediatamente “Prima IO”.

Disgustato da tutto ciò, dal rinascere ciclico di sentimenti “fascistoidi” nei ragazzini, dal vedere ripetutamente le mie aspettative disilluse, la diplomazia fallire inascoltata, la politica estera inefficace, finanche i dibattiti sublimare e rivelarsi solo inutili sciabordii di congetture, vengo sopraffatto da un profondo disagio, che annichilisce la voglia di alzare anche solo un mignolo per provare a cambiare qualcosa.

«La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile.»Corrado Alvaro.

Da quando l’ho letta su facebook (alle volte… ), questa frase infesta la mia mente, però mancando già il solito sarcasmo (o volgarità), sarebbe davvero troppo cupo chiudere il pezzo così.

Da queste parti c’è un detto: «Chi nasc tunn nu pò murì quadro.»

Nell’ultimo romanzo grafico di Enki Bilal (guarda le coincidenze!), Il Colore dell’Aria, c’è una conclusione che ci coccola con l’idea che invece, forse cambiare si può.

Il colore dell'aria - Bilal

Capace in cucina, passabile in corridoio, imbattibile sul divano. Accompagnatore indefesso, paziente ascoltatore, oratore discreto e supereroe nella norma. L'autoironia mi ha reso tripolare ed ora non distinguo più la realtà dalla realtà dalla realtà. ̶A̶h̶,̶ ̶h̶o̶ ̶i̶ ̶c̶a̶p̶e̶l̶l̶i̶ ̶c̶h̶e̶ ̶p̶i̶a̶c̶c̶i̶o̶n̶o̶. Faccio il disadattato part-time, ma nel tempo libero mi dedico al volontariato e cerco di aiutare la mia depressione.

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