Esizialesimo

Marocchino di Merda.

Cavone
Napoli, Cavone (Foto originale di Silvana Bernardelli)

È una calda sera di Luglio.

Una brezza, singhiozzante,  si leva da Nord-Ovest e giunge dal Tirreno fino alle mie narici:
o è passata da Pozzuoli, o sono i bidoni ‘ra munnezza che ruttano.

Bollettino dei naviganti

“Il faro di Capocozzo si è spento, fare attenzione. Mari: Mare Adriatico fermo, per manutenzione.”

Non è il solito torrido morire, ci sarebbero le premesse per una serata piacevole, se non fosse per il fetore che si leva dei rigagnoli di urina, serpenti giallognoli che si intrecciano sensualmente in un sottobosco di basole logore, sino ad unirsi in una threesome idrofobica col rivolo di olio di semi di pneumatico che testé viene sversato nella saittella.

Un momento davvero imbarazzante per la Chimica.

Una blatta rossa (Periplaneta americana) schizza dal tombino e fugge via a gran velocità, allarmata. Credo stia urlando e che sia terrorizzata. La sento invocare su di sé la protezione di tutti i santi verso i quali una blatta può indirizzare le proprie preghiere:

San Francesco D’Assisi; Santi Burroughs e Cronenberg; Santissimo Franz K. e Sant’Organica.

Una macchia grigia all’angolo del marciapiede, confusa tra cumuli di bollette perse, si rivela essere un zucculone (Rattus norvegicus) martoriato, ma tutt’altro che morto: con sicuro guizzo, addenta la croccante blatta.

Vatti ad affidare ai Santi.

Nemmeno il tempo di digerire, che la vita del ratto sublima nello spazio dei ricordi con uno squittio calante: un cane malconcio (Canis familiaris) lo ha afferrato e squartato, ma vedendomi avvicinare, per timore che avanzi pretese sulla preda, si allontana tenendola tra le zanne.

Viene travolto da un Liberty 50 (Piaggius cinquantinus libertinensis sp.) con livrea crema e bande cromate, credo un maschio. Il sub-adulto di Homo Sapiens alla guida si è fatto molto male cadendo, ma la sua agonia ha presto termine: subitamente, un adulto della sua specie a cavallo di una Transalp (Motocyclus sicarii), lo fredda con tre colpi di arma da fuoco, spedendo tutti i suoi sogni incompiuti nell’Iperuranio (o in uno scasso fuori Torre Annunziata, mi confondo sempre).

Per pietas o perché aveva sconfinato?

Il quesito ha giusto il tempo di prender forma, che l’adulto cambia stato fisico, omogeneizzato dal metallo brunito di un SUV che mio Padre al mercato comprò.

Sono sconvolto, sono perso, sono confuso.

Mi guardo intorno e – incredulo – vedo un Saviano in bianco e nero, scalzo e con un saio da jedi, che annuisce e mi sorride.
Si gira e bacia una croce di legno, poi punta lo sguardo di lato, verso il vuoto, si passa una mano sul capocchione sudato e, dopo aver riposto la moleskine con la freschissima sceneggiatura sotto al saio con fare da zingara, si inerpica in un pippone polveroso su come la vicenda gli abbia riportato alla mente quella notte del 24 Agosto, a Parigi, quando poco più che bimbo, non riusciva a capire cosa stesse succedendo intorno a lui e mille e più “Perché?” andavano ad affollare la sua pargola coscientia.

Era la notte di San Bartolomeo del 1572, doveva essere un dì di festa (pure se era notte) e invece furono massacrati migliaia di ugonotti. Oggi, mezzo millennio dopo,  i suoi “Perché?” sono ancora lì, irrisolti e gravati dagli anni.

Chiudo gli occhi, scuoto la testa, urlo. Non può essere reale! Non è possibile!

Li riapro e PORCOILCAZZO!
‘Sti maledetti fumi lisergici del kebab fanno brutti scherzi! Dovrebbero vietarli, Cristiddio!

Il caniello però era vero: a metà strada tra un deperito Dogmeat – loppide di Fallout 3 –  ed un peluche dopo una centrifuga di troppo.

Tipo così, ma con il 130% di fame e disperazione aggiunte.
Tipo così, ma con il 130% di fame e disperazione aggiunte

Gli sguardi si incrociano ed io rompo il silenzio:

«Ciao, embe’?»

Si gira e va via. La posteriore sinistra è grande come il prosciutto di un maiale, sarà un tumore. Povera bestia, chissà quanto soffre…

Speriamo non finisca in un kebab, che i tumori si masticano con difficoltà.

Basta distrazioni! La situazione è critica, devo fare in fretta!

Non li vedo, ma so che son lì a scrutarmi, nascosti dietro le tende, camuffati nelle anse buie di queste stradine contorte come viscere di capra. Ne avverto il fetore nauseabondo, costantemente a pochi palmi da me, come mi seguisse.

Con la coda dell’occhio posso quasi vederlo, quel marocchino di merda affacciato al balcone! Tutto spavaldo, che attende solo una mia debolezza, un mio stupido errore, per fottermi e derubarmi anche della dignità!

Stronzi.

Invadono clandestinamente i nostri spazi più intimi, più fraterni e ci scorticano ferinamente dall’interno, sventrandoci senza onore o pietà.

Accelero il passo, ma di poco.

Questi sporchi pezzi di merda fiutano la paura! Anche in quest’aria così pesante da non permettere al vento di diluirne il tanfo. Nella luce gialla del lampione intravedo fiocchi di fetenzia in sospensione, sento quelle spore di lordura incestarsi nelle pieghe dei jeans e filtrare attraverso le fibre della maglietta, fino ad avvilupparsi in un nefando abbraccio col manto idrolipidico della mia pelle.

Il puzzo acre del sudore stantio mi è insopportabile.

Smetto di inspirare col naso e filtro l’aria tra i denti, con respiri corti e convulsi. Funziona per pochissimo, poi sento lo sporco incatramarsi sulla mia lingua.

Ho la nausea. Potrei vomitare.

Devo stare calmo. CALMO.

Una minima distrazione, una singola contrazione superflua e potrebbe scatenarsi l’inferno. Devo mantenere il controllo assoluto di ogni mia fibra.

Eccolo, il portone! Posso farcela. DEVO farcela. Le chiavi! Qual è? Quale cazzo è? Perché non apre! Apriti cazzo! APRITI!

*TLACK*

Sono dentro.

È fatta.

Adesso scusatemi un attimo…

* * * 15 Minuti Dopo * * *

MAMMAMA’! E CHE CACATONE!

Avrò perso quanto, cinque chili? Cristo, non riesco a camminare, sono sbilanciato da un lato, ahahah! E comm’ mi feta l’ascella poi! Questa maglietta non la esorcizzo nemmanco col Last a limone, è solo da bruciare.

Comunque, mai più cena da Amir. MAI.

Il pollo in salsa all’arancia con hummus sarà pure buono, ma ti svergina il culo da dentro! Ho visto gente incamminarsi sul sentiero della follia per molto meno!

La Vita è Guerra.
Una Guerra Fredda
tra Voi e il vostro Intestino.

Pensavate fosse un pezzo razzista?

Sciocchini! Ce l’avevo semplicemente a punta di coltello da ore!

In fondo però,  il Razzismo pure è ‘na cacata.

Non nego che il mondo sia pieno di stronzi, piacerebbe anche a me poterli discernere e allontanare usando come filtro comode etichette quali Cultura, Etnia, ColoreNumero di Tette, Provenienza o Fisiognomica.

Purtroppo però, con buona pace di Lombroso (Scusa a Ce’!), non funziona così, nemmeno per quelli della Lazio.

Le uniche caratteristiche che accomunano tutti gli stronzi son solo due:

La prima è che – tautologicamente – son stronzi. L’altra è che nascono, crescono e si riproducono di continuo dentro e fuori di noi, per tutta la nostra vita e non potremo mai sbarazzarcene completamente.

Per gestirli, il mio consiglio è semplice:

Dieta ricca in fibre, attività fisica e prendere la sana abitudine di portarsi SEMPRE al cesso, oltre alla salvifica carta e al fidato cappello per proteggerci la testa dal sole (specialmente d’Estate), un buon coltello, possibilmente full tang.

Alle volte son veramente grossi e cattivi, anche più di chi li partorisce.

Survival Kit da toilette
Il tuo peggior nemico è dentro di te. Difenditi!

* * *

Dedicato al fratello Mohamir, nella speranza che possa essere vivo, da qualche parte.

Se fossi morto, che tu possa insegnare agli angeli a dire “Polisia bashtarda, vafanculo, telo fasho vedere io, peso di merda!”, piccolo grande delinquente di Casablanca e coi denti rotti.

Capace in cucina, passabile in corridoio, imbattibile sul divano. Accompagnatore indefesso, paziente ascoltatore, oratore discreto e supereroe nella norma. L'autoironia mi ha reso tripolare ed ora non distinguo più la realtà dalla realtà dalla realtà. ̶A̶h̶,̶ ̶h̶o̶ ̶i̶ ̶c̶a̶p̶e̶l̶l̶i̶ ̶c̶h̶e̶ ̶p̶i̶a̶c̶c̶i̶o̶n̶o̶. Faccio il disadattato part-time, ma nel tempo libero mi dedico al volontariato e cerco di aiutare la mia depressione.

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