Tommaso
Kim Rossi Stuart.
Jason Bradford Priestley.
Questi nomi vi dicono niente?
Per me sono stati un incubo. I semi di traumi tutt’oggi rigogliosi.
Jason Priestley fu “Brandon Walsh” in quel cancro su pellicola chiamato “Beverly Hills 90210” regalatoci dal buon Darren Starr.
Fu il primo vero teen drama, padre prolifico genere che poi ci deliziò con “Dawson’s Creek” e continua tutt’ora a sorprenderci con tante leccornie.
Un giorno il karma te la farà pagare, Starr.
Appassionato di corse d’auto e pilota, anni fa si distrusse la faccia e rischiò la paralisi in seguito ad un grave incidente.
Purtroppo è stato ricostruito ed oggi è un attore e regista senza infamia e senza lode.
Kim Rossi Stuart invece è diventato famoso con “Il ragazzo dal Kimono d’oro”, un pietoso plagio italiano di “Karate Kid”.
Negli anni ha interpretato ruoli discretamente importanti, come quello de “Il Freddo” in “Romanzo Criminale”, o l’omonimo criminale pluriergastolano in “Vallanzasca – Gli angeli del male”.
È anche stato un Gesù Cristo che vatte un vecchiariello-Satana (grandissimo momento di televisione).
Ma tanto, molte di voi lo ricorderanno umidamente solo per aver interpretato il principe Romualdo, in “Fantaghirò”.
Pure lui è attore e regista, ha due cognomi e si è sfracellato,
ma con la moto.
Hanno anche altre cose in comune, come l’essere papà, avere il cazzo ed essere nati entrambi nel ’69.
Il punto però non è questo.
Beverly Hills 90210 e Il ragazzo del Kimono d’oro sono state le prime cacate che ho visto con mia sorella.
Il primo lo guardavo perché mi toccava. Essendoci un solo televisore, “da accordi*” io avevo IL POTERE se c’era MacGyver, Terminator o un qualsiasi film/serie di Indiana Jones, mentre a lei spettava L’ONORE appunto con Beverly Hills, “Harry ti presento Sally”, “French Kiss”, “Forget Paris” o altre commedie romantiche.
*: Il 97% delle volte litigavamo comunque ferocemente.
Oggi, io guardo le commedie romantiche, lei è passata ai film con gli zombie.
“Il ragazzo del kimono d’oro” invece lo guardavo perché avevo sei anni e c’era il Maestro Kimura (surrogato del maestro Miyagi) con le sue perle di saggezza.
Certo, mi piaceva soprattutto perché ero uno stupido bambino e quindi amavo i film demmerda.
Lei, diciannovenne, invece lo guardava perché c’era Kim Rossi Stuart, bello e con gli occhi azzurri.
Oggi non lo guardo più, perché molti anni dopo capii che lei ci si sditalinava.
Grazie a questi due (e a Brad Pitt che si è appena appiccicato con la mugliera, #schadenfreude), idoli di mia sorella e delle mie compagne di scuola che ci morivano appressoperché troppi bellissimi e con gli occhi azzuri comeimmare, sono cresciuto con il complesso di inferiorità di avere gli occhi marroni come la merda e nutro ancora astio e rifiuto generalizzato verso uomini e donne con occhi azzurri, in particolare se biondi.
Non esagero, mi rinfacciò anche di averla illusa.
Appena nato, quando stavo sotto la lampada a UV e mi toglievo la benda perché già ero strunz (difatti ora so’ daltonico, cecato e con le malattie rare), i miei occhietti erano grigio-azzurri, come per la maggior parte dei neonati, ma poi ebbi la colpa di possedere dei melanociti che cominciarono a produrre pigmento color merda, dando una forte delusione a lei e rovinandomi la vita.
Un altro “regalo” è stata la granitica verità che per essere bello, oltre agli occhi azzuri, dovevo pure essere alto 1 metro e 85 centimetri, ovvero l’altezza di non mi ricordo quale altro attore.
Non vi sto a descrivere il rammarico nell’essermi fermato ad 1 metro e 76 centimetri.
Se vi state chiedendo “Ma come, non sei più alto? Se Io sono 1 metro e 76!” vuol dire che vi siete sempre misurati male regalandovi una manciata di centimetri, come moltissimi fanno per compensare altre mancanze.
Sarebbe il caso che vi decideste a crescere una buona volta!
Smettetela con questi escamotage infantili e cominciate a fare come il sottoscritto, che si toglie gli anni perché non ha mai accettato di aver superato la soglia dei trenta, anche se ho soli ventotto anni.
Non deve quindi stupire che quando mi è stato proposto di andare a vedere un film dove era attore, regista e sceneggiatore, intimamente non ne fossi entusiasta.
Poi si intitolava “Tommaso”.
Che titolo demmerda è? Nemmeno lo conosco uno che si chiama così!
«Come no? Tuo nipote si chiama Tommaso!»
Ah, già!
«Quel tipo che mal sopporti si chiama Tommaso!»
Non ne voglio parlare.
«Anche quell’ornitologo della LIPU era un Tommaso!»
Hai ragione. Quello a cui portai i quattro pulcini di gheppio (Falco tinnunculus) “salvati” a lavoro. Atto che – per la cronaca – rimane il più eroico e rivoluzionario che abbia fatto negli ultimi 10 anni. Giusto per far capire quanto straordinaria sia la mia vita.
COMUNQUE, vuoi perché ero felice di vedere la mia amica, vuoi perché c’era la promozione del cinema a 2€ (grazie assai Franceschi’!), gli ho dato una possibilità.
#CRITICA TECNICA E REFERENZIATA, SOLO STUDENTESSE.
Non voglio dilungarmi sul lato tecnico, perché ogni tanto me lo ricordo che non sono un critico e di cinema non ne capisco un cazzo, però qualcosina si può dire:
# Recitazione degli attori nella media. Niente di eccelso, poco di cui vergognarsi;
# Colonna sonora non pervenut- ah no! C’era Surfin’ Bird dei The Trashmen!
# Montaggio, fotografia e regia scolastiche, ma il buon Kim ci ha voluto mettere guizzi e virtuosismi (oltre a miliardi di ammiccamenti) che forse eran fuori dalle sue corde.
Così, in due (di numero) movimenti di camera pensi al fantasma di Sorrentino, in un altro paio all’ossessione per i dettagli in primo piano di David Fincher, nelle sequenze oniriche e metafisiche (troppe, inutili e scollate) ti chiedi se abbia voluto fare il Malick dei poveri. C’è poi un flebile odore di Nanni Moretti che, come il GPL che torna alla forma gassosa, si espande in tutto l’ambiente, ma poi mi diventa troppo diluito per accendersi alla scintilla.
L’impressione è che abbia tentato di dare più spessore al suo film adottando uno stile artificialmente sofisticato, risultando invece stucchevole.
Nonostante venga spacciato per drammatico, è più una commedia nera (grigia va…) e diversi sorrisi li ruba. Forse, con meno pretenziosità e ridondanza, ne avrebbe strappati di più e sarebbe piaciuto un po’ anche alla critica.
Questa è la locandina.
Ovviamente la strizzata d’occhio si vede anche dagli anelli di Saturno.
#L’ECOSISTEMA.
La scena più bella di tutto il film è accaduta fuori dal film. Non voglio citare Bukowski, ma la gente è davvero spettacolare!
Avendo aperto le gabbie, tra le fiere che riempivano la sala c’era anche una di quelle signore che vorrebbero tanto essere chiamate “signorina”, ma siccome sono delle case carute, staicazz che ti chiamo “signorina”, signo’!
L’acidula donna, forse una professoressa di religione pentita che, per bilanciare i torti delle multinazionali, si fotte sempre una mela dal fruttivendolo e i sacchetti al supermercato (anche per sparagnare – perché è ‘na perocchia – e per dimostrare che è più furba, perché è na cretina),
ha prima cercato di coinvolgerci nel suo piano diabolico (per condividerne la colpa):
«Ragazzi, i posti dietro sono vuoti, ci spostiamo? Eh? Così vediamo meglio?»
Quando l’ho rimbalzata con un «Sisi, SE resteranno vuoti, POI ci sposteremo» ha voluto comunque agire.
Per la prima volta nella mia vita, ho visto interrompere la proiezione di un film dopo dieci minuti perché la gente si stava appiccicando per i posti.
Se ci fosse stata Audrey Hepburn vicino a me e mi avesse detto «Che bello! Perché non passiamo il resto della giornata a fare cose mai fatte?»
Le avrei risposto «Vafanculo Putta’!» tirandole un cazzotto nel fegato. Perché ormai me l’hanno fatto intorzare ‘nganna “Colazione da Tiffany”.
La Stronza fermentata poi, non contenta della figura di merda, si è anche rifiutata di mostrare il biglietto (contro i poteri forti dei bigliettari dei cinemi!) e, mai paga, si è lamentata per il resto del film perché non le piaceva, sottolineandolo con svariati “Ah, contenuti di altissimo livello proprio!” ad ogni quarto di zizza e pelo di fessa mostrati.
Grazie Franceschi’!
Se non avessi riempito i cinema mandandoci pure quelli che già a 2 euro e 20 sarebbero rimasti a casa, tutto questo non l’avrei vissuto 💗.
#MA DI CHE PARLA?
È incentrato su questo attore-regista quarantenne che non si trova più con la compagna ma non ha le palle per lasciarla. Fa delle sedute con Mario, un terapista che non è un vero psicoterapeuta, e si cura con l’omeopatia, ma non ne esce. Quando ella infine – giustamente – lo molla, è entusiasta di poter finalmente condurre una vita libertina e piena di femmine, ma la realtà gli ricorda che non funziona così, facendo cozzare le sue aspettative contro problemi irrisolti, un rapporto con la madre tutt’altro che edipico e il fatto che è anche ‘nu poco un povero strunz.
Tutta la psicologia del personaggio è costruita intorno ad una serie di cliché sui maschi abbastanza comuni, in cui è semplice ritrovarsi.
Il bello dei cliché è che sono veri, solo che rompono il cazzo perché se ne abusa ovunque.
A me non hanno infastidito e non li ho trovati particolarmente triti, perché al netto delle già citate sequenze surreali, il film è abbastanza leggero e affronta diversi aspetti in maniera piuttosto parodistica.
Mi hanno infastidito invece i commenti di alcuni ragazzi dietro di me, che si lamentavano che l’attore quasi cinquantenne non c’avesse il fisico e fosse “uno scheletro”.
Facevano evidentemente parte di un altro cliché sui maschi, purtroppo non rappresentato nella pellicola.
Come potrà confermare chi ha convissuto con me, mi sono rivisto nella reazione uterinAHH del protagonista che trova la differenziata fatta a cazzo.
Mi sono rivisto anche nella scena in cui, durante un approccio, Tommaso non sa cosa dire e si lancia in un discorso di antropologia sessuale, evoluzione ed etologia basato sulla quarta di copertina di un libro che ha sbirciato.
Solo che i miei sono più lunghi, pallosi e circostanziati, perché il libro l’ho letto tutto.
Ce ne sarebbero altri, ma li tengo per me, conscio che potrebbero riconoscerli le donne che hanno condiviso con me qualche frammento della loro vita. Dovesse capitare, spero li ricorderete con un sorriso.
Va detto che, in quanto basato su comportamenti maschili stereotipati a livello sentimentale, è un film prevalentemente per femmine.
Guardandolo esse potranno avvelenarsi pensando agli ex oppure avvelenare gli attuali partner con dei quesiti.
«Amorottolo! Ma allora anche TU pensi queste coseee? Pure TU guardi il culo alla farmacista? Eh?»
Domande retoriche di cui ben conoscono la risposta ma che indefessamente continuano a porre.
Sia per poter mettere alla prova il partner e vedere se è così fesso da rispondere onestamente (anche solo per sfinimento), che per poter studiare il modo in cui esso mentirà e continuare a perfezionarsi in quel gioco di spionaggio e controspionaggio all’ultima strunziata conosciuto come “Rapporto di coppia”, esempio perfetto di antagonismo sessuale nel quale scatta il cosiddetto “Effetto Regina Rossa“, ovvero un difensivo braccio di ferro evolutivo all’insegna del mutuo sospetto, però dissimulato, perché NOI ci amiamo 💖!
(Avete capito adesso a quali discorsi antropologici, sessuali ed etologici mi riferivo?)
Chi si beve prima una menzogna, soccombe.
Chi padroneggia tale arte al punto da riuscire a negare con successo l’evidenza, sopravvive vittoriosa (come vedi, “Non è come pensi” non l’ho scritto più, ma ti ho pensato).
#OK, MA ‘STO “TOMMASO” SI PUÒ GUARDARE O NO?
Se vi è rimasta un poco di ironia e pazienza, si.
Non è un film memorabile, ma invece che dare i soldi all’ennesimo polpettone hollywoodiano, dove gli attori protagonisti spendono ogni giorno in coca, puttane e centrifugati bio quello che guadagna un insegnante in un mese intero, date qualche spicciolo a Kim Rossi Stuart, che almeno ci compra due buste di latte al figlio.
Pure se tiene gli occhi azzurri e fa filmetti appena passabili.
Su un accadimento però, non posso passar sopra:
In una scena, Tommaso va a potare delle piante di ulivo.
Mai ho visto tanta dolorosa devastazione.
Le struppea.
Credo si possa configurare il reato di “Tortura sui vegetali”.
Quei poveri ulivi venivano capitozzati così barbaramente che se ne percepivano le urla anche attraverso lo schermo!
Tu ha dimenticato capire voci di piante, Anthony, tu ha dimenticato insegnamenti di Kimura.