Umani Casi

Storie di casi umani che si incrociano con le nostre, troppo di frequente per essere solo casi, ma di sicuro dannatamente umani. Perché non è vero che gli opposti si attraggono, sono i simili che non si resistono, ma tanto poi si lasciano lo stesso.

  • Umani Casi

    Venditori di cazettini – Parte II

    La prima la trovate QUI.

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    IL POLICLINICO UNIVERSITARIO FEDERICO 2.

    Due anni fa, Primavera.
    Uno di quei tipici giorni di Marzo, quando pioviggina come un telefono della doccia ostruito dal calcare, mentre in cielo c’è ancora il sole come… come… niente, non mi viene la similitudine.

    Giorno di Marzo
    Non così.

    Ho detto Policlinico Federico II, quindi siamo a NAPOLI, la città dove quando c’è il sole, tutti sentono l’incessante impellenza di andare sugli scogli a Mergellina, mentre quando piove, tutti si convincono di essere biodegradabili e solubili in acqua e allora prendono l’auto anche per andare a comprare le sigarette, cominciando a suonare il clacson mentre rimangono incastrati nel traffico della tangenziale a Corso Malta (che è punto di snodo stradale fondamentale, anche se ti devi solo alzare dal letto per andare alla toilette).

    Traete da soli le conclusioni e immaginate quello che può succedere quando piove e c’è il sole, contemporaneamente.

    Mi ero svegliato con una tremenda voglia di kinder bueno e non avendone, decisi di recarmi presso il più vicino centro trasfusionale e barattarne uno in cambio di una sacca del mio sangue.
    Stolti.
    Non sanno che ogni volta infetto i loro pazienti con il mio pessimismo, quei malati non guariranno mai! E mi pagano anche coi kinder bueno per farlo! AHAHAHA!

    Dopo la mia cattiva azione, me ne andai all’edificio 12, per fare quattro chiacchiere e scroccare un caffè al mio specializzando preferito, che chiamerò, traendo spunto da un personaggio di Alice nel Paese delle Meraviglie, con il nome di fantasia “Bianco Paolo”.

    Sorbito il caffè nella saletta con gli infermieri e fatte le quattro chiacchiere farcite, come al solito, di sospiri, risate e bestemmie, pensavo non mi rimanesse null’altro da fare che tornarmene affanculo, invece mancava ancora una cosa:

  • Umani Casi

    Venditori di cazettini – Parte I

    Gli ambulanti venditori di calzini,

    insieme ai parcheggiatori abusivi sono ormai diventati un topos letterario, prim’ancora che figure professionali.

    Tale personaggio È a tutti gli effetti una maschera popolare napoletana, il suo costume è più semplice di quello di pulcinella, basta un borsone, inoltre il suo caratterizzatissimo e grottesco modo di fare, il suo essere già perfettamente dipinto a mano e pronto all’uso, solo da raccontare, lo ha reso una figura ampiamente sfruttata da bravi comici, fondamentalisti napoletani, comici di merda, non comici che si credono padreterni, acuti comici di nicchia che non se li caca manco Cristo, caratteristi da bar e perfetti falliti.

    Ed è proprio qui che entro in scena: potevo mancare proprio io?

    Non c’è bisogno che mi rispondiate.

    Tanto non vi ascolto.

    … … …

    Tutti quelli che sono passati per Napoli o hanno anche solo viaggiato su un treno Napoli-Qualcosa, avranno avuto modo di incontrarli e i pochi fortunati a cui non è capitato, sicuramente si saranno sorbiti molteplici aneddoti di prima e seconda mano a riguardo.

    – Ve l’ho mai detto che la seconda è sempre la meglio? No, vero? –

    Oltre che in buona parte della penisola, i cazettinari si sono spinti anche nel mondo del cinema. Lo stesso Bombolo, spalla dell’ispettore Nico Giraldi (Tomás Milián) in molti film, era in realtà un venditore ambulante, poi diventato attore.

    L’esempio più calzante (hohohoho! Battutone! Made in Sud mi aspetta!) che mi viene in mente è però il cameo di Valerio Mastandrea, nel film Piano 17, dei Manetti Bros (un noir, un po’ black comedy, senza pretese e pippe mentali che piacerà a quelli che hanno apprezzato L’Ispettore Coliandro, riprendendone parte del cast e alcuni stilemi, mentre farà cacare agli altri).

    Piano17

    Qui di seguito trovate la clip con la scena, finché non me la rimuoveranno e mi condanneranno a marcire per sessant’anni in una prigione thailandese per violazione di diritti d’autore:

    Purtroppo, proprio perché è uno di quegli argomenti molto trattati, subito dopo l’Amore, l’Odio, la Morte e poc’altro, risulta difficilerrimo parlarne senza annoiare o scadere nella banalità, ma io non demordo, certo, avrei potuto decidere di parlare di un argomento molto più di nicchia, come il particolare sistema di accoppiamento dei ragni Pisaura mirabilis, ma…

    Io non sono uno di quelli a cui piace vincere facile!

    Sono più uno di quelli che proprio adora perdere, quindi…

     

    IL CARDARELLI.

    Una volta, tanti anni fa, quando né io né molti di voi conoscevamo ancora il significato del termine irrumatio, fui

  • Umani Casi

    Giochi di Disagio e Prestigio

    Giochi di Disagio

    C’era una volta, tanto tempo fa, che a largo San Giovanni Maggiore incontrai un tipo ragguardevolmente cumbinato, il quale decise di parlarmi della sua visione del mondo, ma solo dopo avermi chiesto una sigaretta per sette volte in pochi minuti, nonostante avessi sempre risposto, coerentemente e mantenendo il punto con fermezza:

    «No, non ce l’ho, non fumo fratè.»

    Forse sono limitato io, infondo “7” è il numero della perfezione e nella smorfia è “Il vaso di creta”, potrebbe essere stata tutta una metafora del ragno nero che fa il burattinaio con le nostre vite da dietro le tende,  per farmi capire PERFETTAMENTE quanto cazzo stava CREPATO il tizio.

    (Non ci vuole talento per fare giochi di parole di merda, come non ce ne vuole per pisciare. Discorso diverso è pisciare dentro il VASO [Questo è un doppio gioco di parole annidate, che però, nemmeno fa ridere].)

    Probabilmente, no.

    In tutti modi, non ho ancora capito bene il perché fatti del genere succedano così spesso, ma comincio a nutrire il sospetto che i miei amici, approfittando del mio daltonismo, mi abbiano tatuato su tutta la lunghezza della faccia, con un colore che non riesco a distinguere da quello della mia pelle, la scritta “Consultorio-Sert”.

    Il mio nuovo amico, dopo avermi chiesto, per delicatezza, di dove fossi ed aver saziato la sua curiosità chiedendomi pure, visto che ero di Caserta, che cazzo ci stavo a fare là, cominciò la sua lezione di geografia sociale.

    (La tentazione di rispondergli “Eh, se non vengo ogni tanto poi a mammeta chi se la sente…” fu fortissima, ma resistetti stoicamente.)

    Riassumendo, fece sublimare circa ventisette minuti della sua vita (e verosimilmente della mia) per dirmi che lui era furbo, perché era di Napoli®, ma no di Napoli come dicono quelli di fuori Napoli®, tipo Casoria, Barra (parole sue, io massimo rispetto per Barra!) o Afragola, che per carità, so bravi uagliuni, ma non sono di Napoli®, non hanno proprio la mentalità del VERO NAPOLETANO®, non è colpa loro se non sono come quelli dei quartieri, che essendo proprio di Napoli Napoli®, hanno tutti un altro tipo di furbizia che noi provinciali non possiamo nemmeno approssimarci ad immaginare.

    Lui per esempio, tanto per fare solo UNO dei tanti possibili esempi, teneva un modo per non farsi sgamare la rrobba in macchina dai guardi che non lo potevano mai sgamare, proprio impossibbbile uagliò, era inacchiappabbbile ed era inutile che ci pensavo, perché non ci potevo proprio arrivare proprio, non era colpa mia, è che non ero dei quartieri, mi mancava proprio l’osso,  capito come?

    Però non me lo poteva dire.
    Certe cose sono come i trucchi dei prestigiatori, non si svelano né agli spettatori né a potenziali concorrenti.

    Però veramente proprio cioè, me lo dovevo levare dalla testa che lo acchiappavano. Sicuro.

    MEACREREREFRA’®.

    Tutto ciò, detto con una tale sicurezza, che effettivamente non sapevo se pensare che quella scatoletta di latta che si sfilava dalla tasca compulsivamente ogni tanto e dalla quale aveva estratto qualche pezzariello di fumo, fosse in realtà veramente un prodigioso dispositivo  da lui inventato, camuffato da anonima scatoletta.

    Non so, forse aveva inventato un ammacchiatore di roba quantistico.
    Forse, anche se sembrava un bullone spanato a fine corsa, in realtà ero al cospetto di un genio, che a casa c’aveva pure un gatto chiamato Heisenberg, in onore del fisico tedesco, no di Walter White, che Breaking Bad ancora non era uscito.

    Il tipo sbarazzino a sinistra è Heisemberg. A destra abbiamo un gatto annoiato, perché ogni volta che laGGente vede un gatto in una scatola, lo scambia per il gatto di Schrödinger e la cosa, alla lunga, caca giusto un poco poco il gatzo.

     

    Mi sta fissando! Sicuramente è un malintenzionato! Guarda che faccia che ha!
    Mi sta fissando! Adesso è dietro di me! Mi segue! Sicuramente è un malintenzionato! Guarda che faccia che ha!

    Sapete com’è, tante volte l’apparenza inganna, pure io non di rado vengo scambiato per uno stupratore seriale, quando in verità nella mia vita ho acchiappato solo multe per divieto di sosta, perché stavo senza biglietto sulla cumana o perché giravo a due sul motorino senza casco, senza mai nemmeno aver mandato la foto del mio cazzo (ma neanche di quello di altri) a qualche ragazza o aver esordito in conversazioni con splendidi messaggi disinteressati quali:

    «Lo sai sei proprio carina…»

    Eppure a volte suscito emozioni ingiustificate…