Matrimonio di Selfie con Cani, Porci e noci pecan.
♥♥♥ L’altra sera sentivamo un miagolio provenire da dietro ai cassonetti, abbiamo cercato di ignorarlo, ma poi è uscito all’improvviso, tutto trotterellante, un batuffolino di pelo grigio che ci è corso incontro.
Era una zoccola.
Ci ha guardato, ha sputato ‘nterra e ha detto “Vagliù, jatevenn’ a casa, è tardi.”Noi abbiamo urlato in coro come Paola e Chiara ai tempi d’oro “Gatttttinooooooooo!” e non ce la siamo sentita di lasciarlo lì, con il pericolo che finisse investito da un’auto, così l’abbiamo portato a casa. Subito un tipo ha approfittato del nostro momento di tenerezza e mentre eravamo ancora intossicati da ossitocina e pensieri melensi, ad accarezzare il gattino – che si è dimostrato un po’ mordace e veramente scustumato – ci ha chiesto se poteva scrivere un pezzo qui sul blog e gli abbiamo detto di si.
Però è l’ultima volta eh, che mamma si incazza se gli portiamo altri gattini a casa! ♥♥♥L’altro ieri,
il mio cane – che per motivi di privacy e PETA chiamerò Priscilla – mi ha chiesto di fargli un selfie.
«Priscilla, si chiama selfie perché dovresti fartelo da sola.»
«Ma io non ho il pollice opponibile!»
«Allora fattelo con me, daiii, per favoreee!» ♥♥♥ combo di occhioni dolci ♥♥♥
«Vaffanculo, Priscì, vaffanculo!»
Così ci siamo fatti un selfie, come due fidanzatini che si sono appena odorati il culo; che, se ci pensate bene, detto in relazione a un padrone col suo cane, fa abbastanza ridere.
No? Non state ridendo? Cazzo me ne frega, il blog mica è mio.
Ho fatto vedere la foto a tutti, a tutti ho detto che non ho resistito ai suoi occhi dolci, tutti, poi, stavano facendo partire una denuncia per molestie sessuali su un animale.
«Ma non è un animale, mi parla, ragioniamo. Crede che con la fine degli accordi di Bretton Woods del 1973 sia iniziata la crisi perché non ci sono stati più nessi con le riserve auree dei paesi.»
Tutti hanno cambiato numero e hanno chiamato il 118.
Detto questo credo che dovrei mettere la testa a posto e trovarmi una ragazza, invece di fare selfie col mio cane.
Lo penso da molto.
Konichiwa
Il tanfo di ammoniaca del pavimento appena lavato mi ricordava l’odore di piscio di certi vicoli d’estate, la puzza di sigarette gli anni ’90, quando in quei posti ci si poteva ancora fumare.
Questo bar è rimasto uguale. Uno specchio della Peroni, di quelli da boom economico, sorge e si impone alle spalle del barista, confondendo la prospettiva e la profondità quel tanto che basta a scongiurarmi un attacco d’ansia:
di solito questi buchi, affollati di vecchi che fumano e giocano a tressette, distogliendo l’attenzione unicamente per palpare il culo alle cameriere moldave, hanno questo spiacevole effetto collaterale su di me…sarà l’assenza di spazio, l’assenza di ossigeno, l’assenza di speranza.
Vengo qui perché in fondo torturarmi mi piace, di domenica: coltivare la propria angoscia come una delicata orchidea, innaffiarla di pessima birra, accudirla al sole dell’assenza di prospettive.
Senza velleità artistiche, dio o chi per lui ce ne scampi. Puro masochismo, pestato a morte dalla noia, incapace di reagire. Tutto si modella al vuoto della propria anima. Ho chiamato Rigurgito e gli ho chiesto di vederci qui. Nella gola muchi acri e catramosi. Nello stomaco puro fuoco. Cherosene. Un callo purulento sul polso. Lei se n’è andata, o meglio, alla fine, ha trovato il coraggio di ammettere che, per quel che le riguardava, era tutto finito.
Guardo il barista, mi stappa una Peroni senza nemmeno chiedere. Significa che vengo qui troppo spesso. Primo sorso e conseguenti brividi lungo la schiena. Mi guardo intorno. Incrocio lo sguardo con la moldava, mi sorride. E’ nuova. Chissà l’altra dov’è finita. Sollevo il bicchiere per brindare alla sua salute, con una smorfia che potrebbe rappresentare alla buona un sorriso. Non le piace. Distoglie lo sguardo. Abbasso gli occhi e sghignazzo.
Lei mi ha lasciato perché aveva bisogno di spazio. Spero ne trovi a sufficienza.
Qui dentro non ce n’è.
Guardo fuori dalla finestra, il buio del deserto domenicale.
Un solo lampione, tre metri d’asfalto e subito dopo aperta campagna che si perde nell’oscurità.
Tanto spazio, peccato non si veda cosa ci sia dentro.
Un po’ come dentro di me, penso.
E penso anche che, se avessi quindici anni, questa cazzata me la scriverei sul diario, o sul mio blog di splinder e, probabilmente, mi farebbe vedere più
ficafessa di un bidet.Un colpo di tosse che vorrebbe essere una risata.
Stronzate.